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deve cavarsela tra i palazzi dei signori, l'ospizio e il
ghetto, in un'epoca in cui le giovani donne che non
avevano una buona famiglia a proteggerle aveva-
no ben pochi mezzi per riuscire a sopravvivere con
dignità. È anche questo un aspetto interessante di
questo romanzo che riesce a tenersi lontano dai
cliché delle storie d'amore e che, con lo stesso ri
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gore filologico che contraddistingue il professore
torinese, ci restituisce anche un'immagine della
condizione femminile nella meravigliosa e deca-
dente Venezia, ormai avviata lungo una parabola
discendente, nella quale essere donna, a qualun-
que livello sociale, era pericoloso, difficile e tragi-
co, quanto combattere i mori a Lepanto o durante
l'assedio di Famagosta.
Allo stesso modo, con rigore storico, Barbero rico-
struisce la vita dei dannati ai remi. Non condannati,
si badi bene, ma liberi cittadini che per ragioni di-
verse, per sventura o per inganni come accaduto a
Michele, finiscono sui banchi di una galera. Lonta-
na dalla noiosa manualistica, ma comunque dotta
e documentata è la descrizione della vita e della
morte a bordo. Giorno e notte si mangiava, si vi-
veva e si dormiva al proprio banco, diviso con altri
due compagni. La stiva era riservata solo alle mer-
ci che la galera trasportava, e la vita dei galeotti
si svolgeva interamente in coperta. Un telo veniva
steso sopra i banchi per ripararsi alla meglio e la
corsia centrale che separava i rematori era percor
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sa da un aguzzino che regolava l'andatura, e non
lesinava colpi di frusta per convincere i galeotti ad
obbedire agli ordini.
"Gli occhi di Venezia" è un romanzo a metà strada
tra una ricostruzione storica, un thriller e un repor
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tage di navigazione, regala una lettura piacevole
e scorrevole, immersa in un ambiente marinaresco
ed esotico.
La copertina del romanzo
edito da Mondadori
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